Les Grands Verres, gradation of experiences

Il nome stesso del ristorante prende ispirazione dall’opera d’arte di Marcel Duchamp ‘La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli’, anche conosciuta come Il Grande Vetro (Le Grand Verre).
Lina Ghotmeh approfondisce, con questo progetto, una riflessione sull’atto del mangiare, sul suo potere coesivo, sulle relazioni che si creano durante i pasti. In questo ristorante mangiare diventa un’esperienza, un modo per approfondire la conoscenza tra sé e il piatto, e tra sé e gli altri. Il locale si estende su una superficie di 553 mq con oltre 170 coperti e con una terrazza dalla quale ammirare la Tour Eiffel. Uno spazio che mette a disposizione 200 posti, grazie alle sedie ‘Maximum’, realizzate in plastica riciclata di colore rosso e verde.

L’architetto di Beirut racconta come in questo caso l’architettura diventi un’emozione. Il suo obiettivo principale è stato quello di creare un design sostenibile che metta gli ospiti a proprio agio, conducendoli in un viaggio che coinvolge tutti i sensi, attraverso un uso sorprendente della materialità (terra, metalli, legno).
Divanetti, sgabelli da bar, poltrone, sedie, tutto è stato progettato dalla matita di Lina Ghotmeh. Lo spazio, illuminato da 316 sospensioni, simili a gocce luminose che variano in altezza secondo le zone, è concepito in tre Atti, così come sono previste tre distinte esperienze culinarie (informale – intima – collettiva).
Il Primo Atto è l’ingresso chiamato ‘Ready-made’, è un caffè-teatro dove si può mangiare e bere in modo informale, stando in piedi o seduti, sulle sedie o sulle panche, o anche sulle gradinate che favoriscono gli incontri. Si tratta di uno spazio trapezoidale, con una selezione di mobili e oggetti in plastica riciclata o marmi.

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Il Secondo Atto, ‘Les Grands Verres’ celebra il ritorno alla terra e lo fa tramite un bancone lungo 18 metri, nell’area centrale, completamente realizzato in terra cruda, al 100% naturale. È il cuore pulsante di questa seconda zona, attorno al quale si sviluppa il principale movimento tra clienti, cocktail e chef. Lungo questo blocco di terra (che ci ricorda da dove arriva il cibo), si modella uno spazio intimo, con tavoli in legno, separè imbottiti per consumare pasti in piccoli gruppi, tra chiacchiere e confidenze sussurrate. Il Terzo Atto è la ‘Glass House’, dove tutto ruota attorno a un grande tavolo che può ospitare più di 20 persone, con una forma organica che ricorda una goccia d’acqua che si deforma. Questa parte dedicata alle cene collettive comunica con il resto del ristorante attraverso divisori in vetro smerigliato.

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