In the Mood for design

In qualità di Art Director, qual è il progetto che ha in serbo per Mood?

In primis, recuperare l’eredità iniziale, quel­la di John Hutton con cui Mood è nata nel 2001, ossia caratterizzata da un’immagine e un “mood” – appunto – chiari e definiti. Negli ultimi anni è stato portato avanti un lavoro molto coerente dal punto di vista del prodotto grazie all’architetto Lazze­roni, ma c’è ora l’esigenza di aggiornare le cartelle colori, rinfrescare il tono delle col­lezioni, creare una nuova atmosfera e una ‘scatola’ attorno ai prodotti: questo sarà il lavoro dei mesi futuri per ridare un’immagi­ne forte al marchio. I primi passi in questa direzione sono stati creare un nuovo cata­logo e la nuova campagna pubblicitaria.

Per ‘scatola’ cosa intende?

Può essere intesa in vari modi: c’è la scato­la fisica, l’ambientazione in cui i mobili sono disposti e presentati; c’è la scatola visiva della campagna pubblicitaria; c’è la scatola effimera di una fiera. Credo che la ricetta sia mantenere una base che rimanga coerente nei differenti contesti.
Lo stand Mood al Salone di Milano, ad esempio, mostrava alcuni elementi che era­no ben presenti già nel catalogo scattato un mese prima, seguendo una filosofia de­rivata da uno studio attuato con l’azienda. La scatola quindi racchiude sensazioni, lega­te ai colori e alla materia.

Quale ‘scatola’ ha scelto per Mood?

Mood nasce con dei pezzi dichiarati ‘di me­moria’ nella forma e nei materiali. Stiamo quindi cercando di far assorbire tale memo­ria in un contesto contemporaneo, conside­rando la vocazione del brand per l’hotellerie e il contract. Si cerca di dare un’impronta di ciò che è stato il lusso una volta – quindi il decò – con temi ricorrenti nelle linee e nelle forme, ma tutto assolutamente attualizzato attraverso materiali, tessuti, intrecci, texture; lavoriamo sui tessuti abbracciando tutte le gamme cromatiche, poichè guardando le lati­tudini mondiali le tendenze sono tantissime.
Abbiamo optato quindi per i toni freddi (dell’acqua, dei verdi e azzurri), scontrandoci con una delle tendenze più in voga dell’in­terior che invece ricerca materiali caldi; l’in­serimento del marmo Pinta, chiarissimo con riflessi giada, o il marmo verde Alpi. Accenti cromatici forti sono poi generati da punte di rosso e viola, ispirandoci alla moda. Così ab­biamo creato un’atmosfera di eleganza, non più lusso, parola che trovo oggigiorno abusata.

Cosa intende per eleganza?

È un termine ben più interessante di ‘lus­so’, il quale non implica spesso un concetto di gusto. Nell’arredo l’eleganza è qualcosa di timeless, che non passa mai di moda. E Flexform da sempre incarna questo con­cept. La costante dell’eleganza è la coeren­za. Restare coerenti, ma anche giocando: ecco, questo è quello che stiamo facendo con Mood, divertendoci nella progettualità, perché l’eleganza non deve aver a che fare con la noia.
Credo sia compito delle aziende insegnare l’eleganza, fornire strumenti ‘educativi’, tra­smettere visivamente il gusto a chi non ce l’ha: è un discorso che va oltre quello pura­mente commerciale, bensì culturale.

Giocare e divertirsi nell’arredo: come si fa?

Si deve sperimentare, cercare la soluzione seppur semplice, ma che esca dal contesto generale. Il che significa spostare la visione da ciò che fanno gli altri e chiedersi “cosa vogliamo fare noi?”, con i il timore di sbaglia­re che comporta.
Nell’interior però mi piace che ci sia sempre qualcosa che ‘stona’, perché il coordinato è bello, ma lo fanno tutti: si rischia di adottare un alfabeto destinato a ripetersi. La stonatu­ra è l’intervento stesso di chi vive la casa, che per me è fondamentale: le persone devono ‘sporcare’ l’intervento del progettista per non trasformare la casa in uno showroom. Mi piacerebbe per il futuro pensare a que­sto: giocare, divertirsi e far trasparire una leggerezza formale e visiva che non è però semplicità, ma comunque ricercatezza.

Parlando di alfabeti comuni e stonature: vede tendenze prevaricanti o, al contra­rio, voci forti fuori dal coro?

In controtendenza non vedo nulla. Ci sono episodi illuminati come Hella Jongerius, che io stimo moltissimo, un’adepta pura del co­lore e della materia, una delle poche speri­mentatrici d’oggi.
Per quanto riguarda le tendenze invece, è un mondo che gravita su vari poli: Maison&Objet presenta le sue ricerche, così Imm Cologne e New York. È un discorso molto variegato a cui si può attingere a partire da un progetto che l’azienda sta già svolgendo.
Al Salone di Milano abbiamo visto come le aziende abbiano assorbito con dinamiche di­verse dei filoni comuni: l’uso del rosso e dell’a­rancione, declinato in onici e marmi. Allo stes­so tempo è stata proposta da più parti una ricerca sui materiali, con marmi e pietre diffe­renti, sperimentando su elementi tradizional­mente classici rivisti in chiave contemporanea.

Dove si può trovare quindi l’originalità?

L’originalità sta nel credere a quello che si propone. Anche rischiando con una forma o un colore azzardati. L’originalità è ave­re coerenza con quello che si vuol dire e con quello che si è, senza rifarsi ad altre realtà, senza fare chiasso, che non è ne­cessario. È essere se stessi in un mondo di clonati, operazione molto difficile visto il bombardamento di input, suggestioni, suggerimenti, proposte che possono con­dizionare e far rischiare di perdere la pro­pria identità. Questo è quello che stiamo cercando di fare con Mood: tracciare la nostra strada.