Un tour nell’hospitalité parisienne

Occorre solo il giusto mix di proposte, una buona dose di stampa internazionale, un pizzico di fantasia combinata alla giusta organizzazione, ed è fatta. Una conferenza può trasformarsi in una due-giorni alla scoperta delle più variegate espressioni di ospitalità da gustare e assaporare in terra francese. A Parigi, per essere precisi.

L’occasione ci è stata servita in concomitanza con la conferenza di presentazione della prossima edizione di EquipHotel, evento per eccellenza dedicato all’hotellerie e alla ristorazione, che si terrà dal 6 al 10 novembre nella capitale francese. Si è parlato di innovazioni, di trend, di concept progettuali, ma si è anche toccato con mano lo stile e il savoir-faire che caratterizza alcune delle più esclusive strutture che la città ospita. Dalla teoria alla pratica, quindi.

Prima tappa, The Grand Pigalle Hotel, dove abbiamo soggiornato: una vera chicca per gli amanti dell’atmosfera bohémienne. Varcando l’ingresso, all’angolo di rue Victor-Massé e rue Henry Monnier, ci si immerge in un passato recente fatto di calde sensazioni e sofisticati dettagli. La doppia entrata rimanda immediatamente alla duplice vocazione della struttura, hotel e cocktail bar.
Dallo stile alla forma architettonica della struttura, tutto rimanda inevitabilmente al quartiere di SoPi, ovvero South Pigalle, da sempre animato da un’energia cosmopolita, spirituale, festosa, edonistica, misteriosa. Così il design ottagonale, simbolico anche della forma del distretto, diventa leitmotif decorativo: lo ritroviamo nei desk in mogano realizzati su misura, sulle maniglie dei cassetti e delle porte, nelle cornici delle finestre, sulla carta da parati… Le scure e profonde tonalità ci accompagnano dal ground floor – spazio destinato alla reception e al wine bar – per tutti i cinque piani che ospitano le camere e le suite (37 in totale).
Allo stesso modo “l’arte dei cocktail” che ha ispirato la location, crea un gioco di rimandi tra i floor: sono bicchieri per Martini quelli che scandiscono il ritmo sulla moquette (ideata da Dorothée Meilichzon, designer che firma l’intero progetto di interior), mentre ananas dorate affisse alle porte aggiungono un tocco luminoso ed esotico ai corridoi; in ogni stanza un libro racconta le prelibatezze che i bartender del Grand Pigalle posso creare, tra mix inediti e grandi classici rivisitati, in pieno stile Experimental Group, ovvero sulle orme di Romée de Goriainoff, Olivier Bon, and Pierre-Charles Cros, i fondatori dell’hotel e proprietari di esclusivi Cocktail Club tra Parigi, Londra, New York e Ibiza.

Per instaurare un autentico clima di convivialità e favorire la socializzazione, non poteva esserci scelta più azzeccata che pranzare al Mama Shelter – siamo al civico 109 di rue de Bagnolet. È il mondo social e interattivo trasposto in una struttura d’accoglienza. Un viaggio esperienziale nell’hospitality 2.0.
Il genio creativo di Philippe Starck è esploso in una serie di espedienti decorativi che offrono un vero senso di familiarità, dinamicità interattiva, approccio metropolitano. Le pareti, la moquette, le stanze ti parlano e raccontano, ti invitano al dialogo e alla condivisione – e qui l’apporto della tecnologia è fondamentale: iMac da 27 pollici installati in tutte le 172 camere offrono film e servizi Photobooth e Videobooth, accesso a internet e televisione, e un Virtual Consierge. Si tratta in realtà di un interior ilare e giocoso (al ristorante trovi un calcetto, un lampadario creato con salvagenti colorati e distributori di biglie) che ti permette di interagire, scherzando, con esso (i paralumi delle stanze sono maschere di personaggi dei fumetti o dei cartoni animati, con cui divertisti a scattare selfie).
Una ricchezza di influenze riflessa perfino nel menù, firmato dallo chef tre stelle Michelin Guy Savoy. Fondato nel 2008 dalla famiglia Trigano, il Mama Shelter Paris è stato il primo di questi budget hotel concept, successivamente aperti a Bordeaux, Los Angeles, Lione e Marsiglia.

Lasciamo la contemporaneità e il social-friendly style per un appuntamento con il luxury e l’esotico. Tutt’altro genere, The Maison Souquet. Le due lanterne rosse all’ingresso, in rue de Bruxelles, fanno lievemente presagire la sontuosità travolgente degli interni. Eleganza, sensualità, haute-couture sono i canoni stilistici che hanno guidato il designer francese Jacques Garcia nella progettazione di questo boutique hotel, che armonizza lo stile marcatamente arabeggiante con lo sfarzo di Napoleone III, il tutto coronato da un’eclettica collezione di arredi, opere artistiche e pitture.
Traspare con leggerezza il passato da cui questa struttura ha origine, una Maison Close, ovvero una Casa del piacere, evocata nei colori forti e decisi, nei materiali e tessuti morbidi che avvolgono gli ambienti. Incanto e magia: la hall sembra un fuoriuscire da un racconto de Le mille e una notte, da cui, non a caso, prende il nome il Salone all’ingresso, con le sue colonne maestose, il pavimento in marmo rosso, gli intarsi in pelle Cordovan, illuminato dalle porcellane, dagli smalti blu-verdi e dalle vetrate colorate.
La sartorialità del progetto trova il suo acme nelle 14 stanze e 6 junior suite, l’una diversa dall’altra, per creare di volta in volta, un’atmosfera unica ispirata all’Impero, a Napoleone III, all’Art Decò, allo stile indiano, cinese o giapponese, rappresentati dalla combinazione di oltre 120 tessuti. Un rifugio segreto nel cuore di Parigi dove immergersi nella Belle Époque.