L’interior di Gilles & Boissier

Dare una collocazione stilistica a Gilles & Boissier è un lavoro impossibile, l’ecletticità della coppia spiazza chiunque cerchi di racchiudere in una definizione il loro essere interior designer. È l’invisibile e imprendibile equilibrio che c’è tra una scossa emozionale e un calcolo matematico che regola l’approccio di Dorothée e Patrick al mondo della progettazione di interni.
Questo essere imprevedibili ma concreti li ha portati ad avere successo in un mondo, quello dell’hospitality, dove il cliente non è solo l’investitore, ma anche colui che sceglierà quell’hotel o quel ristorante e decreterà in un secondo se è accettabile o no.
La sfida nell’hospitality non poteva non transitare anche dalla Y Generation e anche su questo ambito le idee di Gilles & Boissier sono chiare e, naturalmente, un po’ visionarie.

L’amico Costas “Yatzer” Voyatzis, tra le voci più influenti nel panorama attuale del design e delle arti rappresentative-figurative, nell’apertura dell’articolo sulla vostra casa a Parigi afferma: «Gilles e Boissier sono noti a chiunque si interessi a campi anche lontanamente correlati al design di fascia alta». Sembra paradossale per una coppia di professionisti che ha firmato hotel tanto esclusivi. Vi sentite rappresentati dall’affermazione di Yatzer? E se sì, in che modo e perché?
Il design d’interni è un lungo percorso. In francese, si traduce “architecture d’intérieur”. Credo che serva tempo per capire il legame profondo tra i nostri progetti e le nostre effettive “architetture interne”. Negli anni, questa struttura composta da due architetti (io e Patrick) diventa sempre più elaborata, più ragionata, più potente, più libera. E con il tempo dà anche un significato diverso al nostro lavoro.
Ci piace sperimentare ogni forma di design d’interni (residenziale, alberghiero, negozi, yacht), per non smettere mai di imparare, continuando a metterci alla prova e migliorarci. Siamo sicuri che, alla fine, i nostri progetti saranno ancora migliori e i clienti sempre più soddisfatti.
Se “design di fascia alta” significa provare a elevarsi il più possibile nelle direzioni in cui ci muoviamo, accetto con piacere questa definizione.

Nel settore alberghiero, gli hotel di design stanno diminuendo a favore di strutture che scelgono uno stile chiamato “internazionale classico”: condividete questa percezione?
Si trattava di riproduzioni di magnifici interni, non di invenzioni vere e proprie. Gli hotel di design degli anni Novanta ambivano a proporre nuovi stili di vita, nuovi codici, nuovi riferimenti, nuovi materiali e nuove forme. Come ha fatto in modo eccellente Philippe Starck al “Delano”. La tendenza dei boutique hotel che provano a inventare, a proporre un nuovo stile di vita, non si è ancora esaurita. Forse non si chiamano più design hotel, ma sono progettati con estrema cura! André Balazs è il punto di riferimento quando si tratta di progetti a 360°, con una chiara impronta di design e storie che abbracciano tutto, dagli interni alle divise del personale, fino alla musica.
Lavorando su unità alberghiere più grandi, proviamo a giocare con le strutture usando gli stessi codici sperimentati in hotel più piccoli, case private e video. L’“internazionale classico” non risponde ai nostri gusti. E credo che sia in corso una ribellione contro questo stile!

È meglio un hotel in cui “ci si senta a casa” o un hotel dove “si stia comodi lontano da casa”?
Preferisco il comfort lontano da casa. I nostri hotel non mirano a riprodurre la comodità di casa propria. L’obiettivo è piuttosto suscitare emozioni, provocare domande, riattivare sorrisi, sorprendere, risvegliare la mente assuefatta a migliaia di immagini. Devi sentirti lontano.
Tuttavia, cercando di portare l’ospite in un mondo diverso, vogliamo che capisca la storia, che si senta mentalmente a suo agio, che riconosca i segni. Non deve sentirsi stressato o turbato, ma solo un po’ scosso.

I proprietari e i costruttori di progetti alberghieri hanno a che fare con i Millennial, la Generazione Y, che cercano di intercettare e trattenere: vi è mai capitato, nei vostri ultimi progetti, che il cliente vi parlasse o vi chiedesse qualcosa in merito? Trovate che chi investe nell’alberghiero abbia le idee chiare sul target di clienti?
Il settore è in una fase di evoluzione e cambiamento radicale. Per i gruppi più conosciuti, è arrivato il momento di rispondere alle nuove generazioni, senza mentire sul messaggio originale. La ricetta però non è molto chiara e alcuni gruppi si stanno assumendo grossi rischi cercando di indovinare le esigenze di questa Generazione Y. Devo dire, per quanto ci riguarda, che non stiamo provando ad analizzare i desideri dei Millennial, ma vogliamo essere abbastanza creativi da suscitare in loro delle emozioni. Questa generazione è sommersa di immagini e informazioni e sorprenderli è davvero una sfida, ma se continuiamo a intrecciare le fila di una storia e a costruire gli ambienti intorno a essa, tornano bambini, si fermano ad ascoltare e riescono a prendersi una pausa (dal loro smartphone).

Il vostro approccio al design è cambiato negli ultimi cinque anni? E se sì, in che modo?
Siamo adulti viziati. Le immagini si sono spinte così in profondità nel nostro immaginario e in una quantità tale da non lasciare molto spazio per altre informazioni. Sorprendere un cliente è diventata una sfida. Sono stati dappertutto, hanno visto di tutto. E ho la sensazione che, inconsciamente, i nostri clienti vogliano dare il loro contributo ai progetti. La bellezza non è abbastanza. Il valore oggi risiede nella storia, nel contesto, nell’obiettivo. Una parte considerevole del tempo dedicato a ciascun progetto viene investita per capire e definire il film che intendiamo girare, con quali attori, in quali scene, con quali opere d’arte, luci, musica e sapori. Il design non è più semplice progettazione, ma significa creare/perfezionare un momento nella sua interezza, andando a stimolare i cinque sensi. È così che ci riscopriamo vivi!

Voi due, in quanto architetti, non avete cominciato in modo specifico nel settore alberghiero, ma improvvisamente e in poco tempo avete siglato quattro progetti di altissimo livello e, soprattutto, siete stati scelti per l’unico ed eccezionale Baccarat Hotel al mondo: se chiudete gli occhi e vi chiedete come sia successo, che risposta vi date?
Siamo in due. E, inaspettatamente, parecchio diversi. Amiamo condividere, discutere, poi abbassare le armi e rinascere… Ogni progetto, indipendentemente dalle dimensioni, dal cliente e dal budget, è una nuova storia da inventare. E questo processo funziona in qualsiasi progetto in cui entri in gioco l’immaginazione. Ci piace lavorare su argomenti e soggetti diversi, che richiedano ogni volta una nuova comprensione e un’analisi. Siamo una realtà piccola ma famelica e desiderosa di assaggiare tutti i piatti più deliziosi per diventare dei veri gourmet! Quando Kemper Hyers, il direttore artistico di Starwood Capital Group, è venuto a trovarci a Parigi, è stato un colpo di fulmine. Ci ha spiegato la sua vision brillante, secondo cui potevamo adattare la nostra “francesità” alla cultura americana, integrando un marchio francese con 250 anni di storia alle spalle nella creazione del primo Baccarat Hotel a New York. Sapeva che eravamo pronti a metterci in gioco, e credo che il cocktail si sia rivelato vincente!

A chi vi ispirate? Ci sono forme d’arte in grado di evocare sentimenti che diventano dapprima idee e quindi progetti?
La natura, l’essere umano e le sue creazioni sono le nostre fonti di ispirazione. Un testo, una pianta, una pietra, un sorriso, un’alba, un salto, una risata, un profumo, una fotografia, un vaso, un tocco, un’onda… Il balletto, l’opera, il cinema, la fotografia, la musica, l’architettura, la moda… Ogni progetto si basa su un’emozione specifica. Io e Patrick ci ispiriamo a cose diverse. Io amo la letteratura, il balletto, la filosofia. Lui il cinema, la fotografia, la pittura, i libri. Nutro enorme rispetto per le persone che hanno un’idea e si prefiggono un percorso da seguire, senza compromessi. Nietzsche, Picasso, Socrate, Louise Bourgeois, Oscar Niemeyer, David Lynch…
E se sono donne, ancora di più.

L’intervista a Gilles & Boissier è presente all’interno della collezione Contract&Hospitality – Spring/Summer Book 2016 de IFDM disponibile anche nella versione digitale.