Giulio Iacchetti per Refin. Le geometrie della ceramica

Con il suo stile colto e raffinato Giulio Iacchetti è uno dei più innovativi protagonisti del design contemporaneo. Ora, per la prima volta, si cimenta con il tema della decorazione ceramica, firmando per Refin una collezione dalle linee rigorose e dai colori sobri, che assicura sorprendenti possibilità compositive.

In occasione del Cersaie di Bologna viene presentata Labirinth, una piastrella che rappresenta il suo esordio in questo settore. Quali sono le caratteristiche del prodotto?

Il progetto è scaturito dalla sintesi di due interessi che ogni tanto ritornano nei miei progetti: la modularità e le costruzioni illusionistiche di Escher. Labirinth è una piastrella di 50 x 50 cm con un decoro pensato per composizioni modulari. Affiancando e ruotando le mattonelle è possibile costruire diverse figure geometriche: quadrati regolari, percorsi a zig-zag ma anche configurazioni totalmente irregolari. Con un’unica piastrella il posatore può realizzare dei motivi decorativi sempre nuovi, sulla base di un disegno preordinato o in maniera totalmente libera. 

Come è stato sviluppato il disegno?

Il tema del decoro è sempre spinoso per un designer. Io ho deciso di affrontarlo da un punto di vista “grafico”, con una precisa costruzione geometrica che costituisce la griglia “invisibile” del disegno. Dopo aver suddiviso la superficie della mattonella in due rettangoli ho tracciato le diagonali dei tre poligoni. Il risultato è una struttura ottagonale, che ho utilizzato come base per disegnare due figure inclinate a forma di “L”. Questo per quanto riguarda la versione “Angle”. Nella declinazione “Mirror” ho duplicato e “specchiato” le figure, per ottenere un effetto di concatenazione quando le piastrelle vengono affiancate.

Lei ha una lunga esperienza nella decorazione, maturata grazie a collaborazioni con aziende quali Jannelli e Volpi e Abet Laminati. Ma per la prima volta si è dedicato alla ceramica. Quali aspetti estetici e funzionali le interessava sviluppare?

A mio avviso uno dei grandi temi nel design della piastrella è quello di smorzare la percezione della fuga, trasformando tanti elementi distinti in un’unica configurazione. E ho capito che questo sarebbe stato possibile catturando l’attenzione dell’occhio con costruzioni geometriche articolate o con illusioni ottiche, come ci ha insegnato Escher.  Da un punto di vista funzionale mi interessava semplificare la gestione del processo. Questo è un aspetto molto tecnico, da progettista, ma io lo ritengo fondamentale. Se si deve realizzare una configurazione con dieci diversi tipi di piastrella, tutto diventa complicato: dallo stoccaggio in magazzino, alla selezione, alla posa in opera. Nel caso di Labirinth invece, abbiamo una sola piastrella che garantisce una molteplicità di possibili disegni.

Avete sperimentato particolari accorgimenti tecnici per risolvere il problema della collimazione di un modulo così rigorosamente geometrico?

Effettivamente quando si ha a che fare con un disegno molto grafico l'abbinamento dei moduli può creare dei fastidiosi scostamenti, perché non esiste macchina al mondo che produca una piastrella esattamente uguale all'altra. Abbiamo risolto questo problema tramite una leggera tessitura di linee sul fondo della piastrella, che inganna un po' l'occhio ma garantisce anche una gradevole matericità alla superficie.

Come ha affrontato la scelta dei colori?

Abbiamo lavorato in stretta collaborazione con Paolo Cesana di Refin, selezionando tinte molto rasserenanti e non colori vivaci, perché l’impatto grafico del decoro non richiede una soluzione cromatica di peso. Per questo la palette è sobria, con cromie nell’area del bianco e nero, dei grigi e delle terre. Questa scelta è del tutto coerente con il mio linguaggio progettuale, che non è mai troppo invasivo ma è anche in linea con la filosofia dell’azienda, interessata a proporre prodotti di tendenza ma fatti anche per durare nel tempo.