Segno Italiano. Il design tra tradizione e attualità

Come è iniziata l’avventura di Segno Italiano? 

Tutti i soci fondatori avevano lavorato all’estero come designer e architetti. Durante questo periodo abbiamo compreso che soprattutto fuori dall’Italia c’è grande “fame” di artigianato italiano. Noi cerchiamo di rispondere a questa domanda, da un lato lavorando alla riedizione e all’aggiornamento di complementi e arredi quasi del tutto abbandonati o realizzati solo in piccolissima serie, dall’altro organizzando un canale distributivo globale.

Il vostro approccio mette in discussione la figura del designer classico

La nostra ambizione è di disegnare un sistema e non il singolo oggetto. Ci piace entrare in punta di piedi nelle botteghe, senza avere la presunzione di volere insegnare a un artigiano, che spesso è erede di una lunga tradizione familiare di due o tre generazioni, ma instaurando con lui un rapporto di collaborazione e fiducia.

In questo modo avete rilanciato alcune lavorazioni ormai da tempo abbandonate, come per esempio quella del Vetro Verde di Empoli…

Ci mancava un contenitore per liquidi e abbiamo iniziato indagare il tema del vetro. Abbiamo scoperto il distretto della “bufferia” di Empoli, dove fino a venti anni fa veniva prodotto il fiasco per il Chianti, con una tecnica suggestiva. I maestri vetrai utilizzavano la pasta di vetro incandescente
servendosi di canne di metallo, soffiandola dentro gli stampi. Poi la modellavano fino a fargli assumere la forma desiderata. Un procedimento impegnativo, ormai da tempo soppiantato da quello industriale, e che noi abbiamo fatto rinascere.

Qual è stato il vostro contributo nel design del fiasco?

E’ un archetipo senza tempo, talmente bello nelle forme che non necessitava interventi di rilievo. Lo abbiamo realizzato nella sua versione originale, ampliando la proposta cromatica al vetro trasparente e a quello ambrato. Abbiamo inoltre creato una collezione che comprende anche brocche e bicchieri, sia lisci sia bugnati.

Come commercializzate i vostri prodotti?

Attraverso la grande distribuzione, gli showroom, gli architetti. Ma soprattutto grazie a un sistema di e-commerce che ci garantisce la copertura del mercato internazionale, il nostro maggiore bacino d’utenza.

Riuscite a dare un appeal contemporaneo agli archetipi della nostra cultura artigianale. Come nel caso delle ceramiche di Este…

Le zuppiere a forma di zucca della tradizione atestina, così come i trionfi di frutta, sono tradizionalmente dipinte a mano. Noi invece le abbiamo proposte in total white, perchè ci sembrava che questa scelta esaltasse la loro straordinaria matericità, ottenuta grazie all’utilizzo dei calchi originali di Girolamo Franchini, che risalgono al ‘700. Inoltre, a nostro avviso, questa operazione di sottrazione dona alla collezione un aspetto molto attuale.

Di quale progetto andate particolarmente fieri? 

Dopo 50 anni abbiamo rieditato la poltrona Tigullina. Un prodotto di una contemporaneità sorprendente che noi, nel rispetto della tecnica sviluppata dagli artigiani di Chiavari negli ultimi 200 anni, assembliamo a mano impiegando i materiali originali: ciliegio, faggio e canna d’India per l’intreccio. Poi la Tripolina, una seduta pieghevole di origine inglese. Durante la guerra in Libia, gli italiani l’hanno scoperta e hanno iniziato a realizzarla. Quest’anno l’abbiamo riproposta con seduta in cuoio, telaio in legno tinto nero, giunti ottonati, riproducendo il modello esposto a Palazzo Bianco. Abbiamo inoltre presentato delle declinazioni inedite. Un progetto che risponde al desiderio di ampliare il nostro catalogo con un oggetto dalla storia affascinante ma soprattutto di indubbia modernità.